Palermo, 11 dicembre 2025 – Il medico Matteo Tumbarello sarebbe stato il medico di fiducia di Matteo Messina Denaro durante i lunghi anni della sua latitanza. È quanto emerge dagli atti della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Secondo gli inquirenti, il dottore — già indagato per concorso esterno in associazione mafiosa — avrebbe prestato cure e assistenza sanitaria al capomafia trapanese, aiutandolo così a restare nascosto e protetto. Un dettaglio che aggiunge un pezzo importante al mosaico delle responsabilità civili e morali di chi orbitava attorno a Cosa Nostra.
Negli atti resi pubblici ieri dalla Procura si legge che il dottor Tumbarello, originario di Campobello di Mazara, avrebbe fatto numerose visite a domicilio tra il 2013 e il 2022 in case legate al boss. Non si trattava di semplici controlli: secondo i carabinieri del Ros, Tumbarello era l’anello sanitario che permetteva a Messina Denaro di curarsi senza correre il rischio di andare in ospedali pubblici. Si parla di ricette, farmaci oncologici prescritti, visite fatte in orari insoliti, spesso “di notte o all’alba” — particolari emersi da interrogatori e pedinamenti.
Un’infermiera ascoltata dagli investigatori ha raccontato che “il dottore non faceva mai domande” su chi fosse il paziente e che tutto veniva gestito nel massimo riserbo. Una discrezione che, per gli inquirenti, aveva un solo scopo: proteggere l’identità del boss.
“Senza l’aiuto di Tumbarello, la latitanza del boss sarebbe stata molto più complicata”, ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido. Le cure — soprattutto negli ultimi anni, quando Messina Denaro soffriva di un tumore — erano fondamentali. I malati oncologici hanno bisogno di controlli regolari, farmaci mirati e attenzione costante. Per questo motivo la Procura ritiene che il ruolo del medico non sia affatto marginale.
Le carte mostrano anche uno scambio intenso di messaggi tra Tumbarello e altri indagati per favoreggiamento: comunicazioni “in codice”, con nomi finti e sigle comprensibili solo agli interessati. “Dovevo solo fare il mio lavoro”, avrebbe detto Tumbarello durante un interrogatorio lungo quasi quattro ore nella caserma provinciale dei carabinieri.
Dal punto di vista giudiziario, la posizione di Tumbarello si complica sempre più. Dopo la perquisizione dello scorso aprile nel suo studio di via Garibaldi a Campobello di Mazara — dove furono sequestrati agende, cellulari e documenti sanitari — la Procura ha notificato l’avviso di chiusura indagini. Nei prossimi giorni è attesa la richiesta di rinvio a giudizio. “Ci difenderemo nelle sedi opportune”, ha dichiarato l’avvocato Gaetano Romano, sottolineando che il medico ha sempre agito “nel rispetto della deontologia”.
Nel paese le reazioni non si sono fatte attendere: c’è chi a Campobello è “sbalordito” dalle accuse (“non poteva non sapere”, si sussurra in piazza) e chi invece dice che “da anni giravano troppe voci”. Un clima teso, dove all’omertà fa da contraltare una voglia crescente di verità.
Intanto la Procura punta a ricostruire tutta la catena dei fiancheggiatori: autisti, infermieri, farmacisti e tecnici informatici che avrebbero permesso a Messina Denaro di restare nascosto fino all’arresto del gennaio 2023 a Palermo. Ogni dettaglio viene esaminato con cura. Il coinvolgimento di un medico — figura pubblica e stimata — apre nuovi interrogativi sulla profondità delle infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale della provincia.
Per i magistrati palermitani soltanto una rete solida e ben organizzata poteva tenere nascosto uno dei latitanti più ricercati d’Europa. E proprio ora — con questa nuova luce sulle responsabilità sanitarie — iniziano a emergere i fili più sottili e nascosti della protezione data a Messina Denaro. “Abbiamo ancora molta strada davanti”, ammette una fonte investigativa. Perché dietro ogni favore spesso c’è una storia più lunga da scoprire.
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