Trapani, 30 dicembre 2025 – La Procura di Trapani ha chiesto il rinvio a giudizio per altri undici indagati nell’inchiesta sulle Ong impegnate nei soccorsi migranti nel Mediterraneo, una vicenda che, dopo anni di indagini, continua a tenere alta l’attenzione sulla gestione dei salvataggi in mare e sul rapporto tra le organizzazioni non governative e le autorità italiane.
Nuova svolta nell’inchiesta sulle Ong
La richiesta è stata depositata ieri negli uffici del palazzo di giustizia di Trapani, dove il fascicolo – nato nel 2016 – ha visto passare mesi di indagini tra sequestri di navi, intercettazioni e audizioni. Oltre ai vertici delle organizzazioni, spiegano fonti giudiziarie, la misura riguarda anche operatori che avrebbero avuto un ruolo chiave nelle missioni tra il 2016 e il 2017. Gli atti, firmati dal procuratore aggiunto Maurizio Agnello, accusano i coinvolti di presunte collaborazioni illecite tra equipaggi delle Ong – come Jugend Rettet, Save the Children e Medici Senza Frontiere – e scafisti attivi dalla Libia.
“Riteniamo ci siano elementi solidi per sostenere l’accusa in tribunale”, ha detto una fonte vicina alla procura. L’elenco degli indagati resta riservato, ma si parla di figure operative e logistiche direttamente legate alle missioni sotto esame.
Il cuore dell’accusa: accordi nascosti tra Ong e trafficanti
La questione centrale riguarda presunti accordi mai ufficializzati, ma ipotizzati dagli inquirenti, tra alcune Ong internazionali e gruppi criminali che organizzavano le partenze dei migranti dalle coste africane. Secondo gli investigatori, gli imputati avrebbero “agevolato l’ingresso irregolare” in Italia favorendo lo sbarco di centinaia di persone con una collaborazione poco chiara con i trafficanti. L’accusa si basa su intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre a testimonianze raccolte negli anni.
Dall’altra parte si parla invece di “processo alle intenzioni”. Gli avvocati difensori sostengono la correttezza delle procedure adottate: “Le Ong hanno sempre operato per motivi umanitari”, ha dichiarato Vincenzo Drago, uno dei legali. “Le accuse poggiano su elementi fragili e su una lettura distorta della realtà”.
Un’indagine lunga anni tra sequestri e testimonianze
Tutto è iniziato con il sequestro della nave Iuventa – battente bandiera tedesca – nell’agosto 2017 al porto di Trapani. Da allora sono stati raccolti migliaia di documenti, compresi tracciati radar delle imbarcazioni, e ascoltati decine di testimoni tra membri degli equipaggi e migranti salvati. L’indagine ha seguito diverse fasi: prima le verifiche sulle singole operazioni in mare, poi l’allargamento alle presunte relazioni con i trafficanti libici.
In passato altri processi simili si sono conclusi con assoluzioni o archiviazioni per mancanza di prove concrete. Questa volta però la procura punta sulla solidità degli indizi raccolti: “Ci sono convergenze investigative che meritano un approfondimento in aula”, ha detto un magistrato trapanese a margine della richiesta.
Reazioni delle Ong e tensioni politiche
Le Ong coinvolte hanno subito risposto. In una nota congiunta, i rappresentanti delle tre organizzazioni hanno ribadito la loro fiducia nella magistratura italiana e sottolineato l’importanza del soccorso umanitario nel Mediterraneo. “Il nostro unico obiettivo è salvare vite”, si legge nel comunicato diffuso ieri da Save the Children. Sulla stessa linea anche Medici Senza Frontiere: “Andremo in tribunale a testa alta”.
Non sono mancati commenti dal mondo politico. “Serve trasparenza ma va difesa la solidarietà”, ha detto il deputato Michele Sodano (Verdi). Dall’altra parte c’è chi chiede invece “piena applicazione della legge”. Sullo sfondo restano le divisioni sull’approccio alla gestione dei flussi migratori, tema sempre caldo nel dibattito nazionale del 2025.
Cosa succede adesso: tempi lunghi in vista
Con questa richiesta la Procura di Trapani apre ora la strada a una nuova udienza preliminare. Toccherà al gup decidere nelle prossime settimane se accogliere la richiesta o ordinare altri accertamenti. I tempi della giustizia restano lunghi: secondo alcuni esperti locali, una prima risposta potrebbe arrivare non prima della prossima primavera.
Intanto per le famiglie dei migranti coinvolti cresce l’attesa di chiarezza. “Abbiamo bisogno di verità”, ha detto Amira, volontaria tunisina presente davanti al tribunale questa mattina. Una domanda che attraversa tutta questa storia dove il confine tra umanità e legalità resta più che mai un punto interrogativo per istituzioni e opinione pubblica.





