Torino, 22 novembre 2025 – Al 43° Torino Film Festival emerge una voce che non passa inosservata. Si chiama “Coexistence, My Ass!”, il documentario di Amber Fares in concorso in questi giorni e che arriverà nelle sale italiane con Wanted tra gennaio e febbraio 2026. Girato in cinque anni tra Israele, Palestina e Stati Uniti, il film racconta il percorso personale e artistico di Noam Shuster Eliassi, comica e attivista israeliana che usa la satira per mettere in discussione l’idea – a tratti illusoria – della convivenza tra i due popoli.
Noam Shuster Eliassi: la speranza fragile di un’Oasi di Pace
Noam è cresciuta a Neve Shalom/Wahat al-Salam – l’“Oasi di Pace”, una comunità fondata negli anni Settanta tra Gerusalemme e Tel Aviv dove ebrei e palestinesi vivono fianco a fianco. Sembrava destinata a incarnare il dialogo israelo-palestinese. Figlia di madre ebrea iraniana e padre ebreo rumeno, ha respirato fin da piccola quell’esperimento sociale unico. Ma la realtà, col tempo, le ha mostrato un volto più complicato. “Crescevo pensando che la pace fosse possibile, poi ho visto quanto fosse fragile”, ha raccontato Noam durante una proiezione a Torino.
Delusa dalla solita forma di attivismo pacifista, ha scelto la stand-up comedy come arma nuova. I suoi monologhi, pungenti e provocatori, hanno iniziato a girare prima in Israele, poi in tutto il Medio Oriente. “La satira è l’unico modo che ho trovato per dire la verità senza filtri”, ha spiegato dal palco del festival. Il pubblico, tra risate e disagio, si trova davanti a domande scomode: davvero si vuole convivere? E chi paga il prezzo vero della pace?
Cinque anni tra palco e realtà: il dietro le quinte del documentario
La regista canadese-libanese Amber Fares, già nota per “Speed Sisters”, ha incontrato Noam quasi per caso a Brooklyn nell’autunno del 2019. “Era appena arrivata a Harvard per una borsa di studio”, ricorda Fares. “Stava lavorando a uno spettacolo chiamato proprio ‘Coexistence, My Ass!’. Mi sembrava un’idea forte, ma non sapevo se avrebbe retto in America”. Da quell’incontro è nato prima un cortometraggio, poi il documentario.
Le riprese hanno seguito Noam tra i palchi di Tel Aviv, Ramallah, Boston e New York. Sul palco alterna battute in ebraico, arabo e inglese. Fuori, si scontra con una società sempre più divisa. “La sua popolarità cresceva, ma intorno tutto sembrava andare in pezzi”, racconta Fares. La guerra a Gaza, le tensioni in Libano, le proteste nelle università americane: tutto si riflette nei suoi testi.
Satira come resistenza: una voce che non lascia indifferenti
Il film non dà soluzioni facili. Anzi, più la situazione peggiora – con nuovi attacchi israeliani su Gaza e Libano anche nelle ultime settimane – più la satira di Noam diventa dura. “La speranza è un lusso”, ripete spesso sul palco. “Ma anche perderla lo è”. Una frase che riassume bene il tono del documentario: amaro, ma mai cinico.
Per la regista, oggi si guarda con occhi diversi alla questione palestinese. “C’è più consapevolezza di cosa accade ai palestinesi”, ammette Fares davanti ai giornalisti. “Ma è difficile essere ottimisti quando le forze in campo sembrano così sbilanciate”. Il film si chiude senza risposte definitive, lasciando a chi guarda il compito di riflettere su cosa significhi davvero convivere.
Dal festival alle sale: il dibattito acceso continua
Dopo l’anteprima a Sundance e il passaggio a Torino, “Coexistence, My Ass!” arriverà nelle sale italiane all’inizio del 2026. Wanted Cinema lo distribuirà in alcune sale selezionate tra gennaio e febbraio. Nel frattempo, il dibattito va avanti: c’è chi vede nella satira di Noam un gesto coraggioso, chi invece la accusa di dividere ancora di più.
Ieri sera, al Cinema Massimo, le reazioni sono state contrastanti. Applausi convinti da una parte, spettatori che hanno lasciato la sala prima dei titoli di coda dall’altra. Segno che il tema resta caldo. E che, per ora, la convivenza resta più una domanda aperta che una risposta.





