Roma, 4 dicembre 2025 – Professore, traduttore, ponte tra mondi: è così che i colleghi descrivono Dubravko Gjuric, croato di Spalato, oggi una delle figure più note dell’italianistica nei Balcani. Nel suo studio all’Università di Zagabria, Gjuric accoglie studenti e colleghi con lo stesso garbo con cui, per decenni, ha incontrato scrittori italiani di ogni generazione. Ricorda quando ha conosciuto Umberto Eco nei corridoi del Salone del Libro di Torino (“Mi chiamò ‘il poeta di Spalato’, sembrava divertito”), o la stretta di mano con Dacia Maraini durante una tavola rotonda a Fiume. “Da ragazzo sognavo l’Italia guardando i film di Fellini”, racconta. Oggi, dopo una carriera spesa tra università e festival, ripercorre il suo cammino e le amicizie nate lungo la strada.
Nato nel 1960 sulla costa dalmata, Gjuric è cresciuto tra i libri della biblioteca di suo padre e le trasmissioni radio della Rai captate dal mare. “Ho iniziato a studiare italiano quasi per caso, ascoltando Mina la sera con mia madre”, ricorda con un sorriso. Dopo la laurea in letteratura comparata a Zagabria, nel 1983 si trasferisce a Roma per un dottorato alla Sapienza. Da lì, una serie di borse di studio e collaborazioni lo portano a girare per Firenze, Milano, Venezia.
All’inizio degli anni Novanta, quando la guerra scuote la ex Jugoslavia, decide di tornare in Croazia. Insegna letteratura italiana in un paese che stava cambiando volto: “Gli studenti avevano voglia di novità, volevano capire Pasolini e Calvino. L’Italia era vicina e lontana allo stesso tempo”. In quegli anni dà il via alla traduzione di testi inediti di Elsa Morante, ancora oggi fondamentali per i lettori croati.
I nomi che affiorano mentre Dubravko racconta sono tanti. C’è Eco, appunto (“Mi colpì la sua ironia”), poi Claudio Magris, incontrato durante una conferenza a Trieste: “Disse che Trieste era il punto dove l’Europa si mette in discussione: aveva ragione”. E poi Natalia Ginzburg, che negli anni Ottanta lo accolse nella sua casa romana (“Parlava piano, come se cercasse sempre la parola più semplice”).
Molte amicizie sono nate grazie al suo lavoro da traduttore. È stato tra i primi a portare in Croazia le poesie di Alda Merini – “mi mandò una lettera scritta a mano, firmata col rossetto” – e i racconti brevi di Italo Calvino. Ha lavorato anche su autori contemporanei: “Con Nicola Lagioia ci siamo conosciuti davanti a un bicchiere di malvasia istriana; lui era curioso della nostra editoria”.
“Tradurre significa diventare una specie di cercatore delle sfumature”, spiega Gjuric. Nelle sue lezioni sottolinea spesso la responsabilità che il traduttore ha verso l’autore e chi legge. “È come tenere una lampada accesa nella notte – dice – per evitare che qualcosa vada perso nel buio delle lingue”. Tra le sue versioni più apprezzate c’è quella dei “Racconti romani” di Alberto Moravia (pubblicati nel 1998 dalla casa editrice Profil), adottati ancora oggi nelle scuole croate.
Negli anni Duemila ha diretto la collana “Scritture d’Italia” per l’editore Fraktura, pubblicando oltre trenta titoli tra poesia e narrativa contemporanea. Un lavoro spesso fatto di viaggi notturni tra Zagabria e Torino, mail scambiate all’alba, bozze corrette nei caffè del centro.
Quando gli si chiede cosa sia cambiato nel rapporto tra Italia e Croazia negli ultimi vent’anni, Dubravko riflette: “L’Europa ha avvicinato le nostre culture – dice – ma non è tutto rose e fiori. Ci sono ancora pregiudizi da entrambe le parti”. Però i giovani croati continuano a scegliere corsi d’italiano in massa; allo stesso tempo le università italiane aprono programmi condivisi sull’Adriatico. “Il futuro sarà fatto sempre più di dialoghi intensi”, aggiunge.
Durante l’ultima Settimana della lingua italiana nel mondo, Gjuric ha portato sul palco una giovane studentessa dalmata che ha letto versi di Ungaretti davanti a duecento persone. “È stato un piccolo orgoglio – confessa – vedere qualcuno emozionarsi per quelle parole che hanno segnato anche me”.
Oggi continua a scrivere saggi e recensioni su riviste specializzate come “Il Ponte” e “Kolo”. Alla fine dell’intervista sorride: “Ho conosciuto molti grandi scrittori – conclude – ma sono gli incontri più piccoli quelli che cambiano davvero la vita delle persone”.
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