L'eredità di Pier Paolo Pasolini: cinquant'anni dopo l'omicidio che ha scosso l'Italia - ©ANSA Photo
Roma, 2 novembre 2025 – Cinquant’anni sono passati da quella notte in cui Pier Paolo Pasolini fu ucciso all’idroscalo di Ostia. Oggi, l’Italia si ferma per ricordare uno dei suoi intellettuali più controversi e influenti del Novecento. Era il 2 novembre 1975 quando, poco dopo mezzanotte, il corpo del poeta venne trovato senza vita sulla sabbia del litorale romano. Da allora, il mistero attorno alla sua morte, avvenuta a soli 53 anni, non si è mai davvero chiarito. Tra commemorazioni a Ostia, Casarsa della Delizia e in tante altre città, il Paese riflette sull’eredità di un uomo che ha segnato profondamente la cultura italiana.
Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pasolini trascorse l’infanzia tra Emilia e Friuli. A Casarsa della Delizia, piccolo paese in provincia di Pordenone, visse con la madre Susanna e il fratello Guido, poi morto partigiano. Proprio Casarsa ospita oggi la sua tomba, meta di pellegrinaggi per studiosi e appassionati. Negli anni Quaranta insegnava nelle scuole friulane e scriveva versi in dialetto. Ma la sua vita fu presto segnata dallo scandalo: nel 1949 fu denunciato per “corruzione di minori”, un’accusa legata alla sua omosessualità e al suo lavoro d’insegnante. L’espulsione dal Partito Comunista Italiano segnò una rottura profonda nella sua esistenza.
Nel 1950 Pasolini lasciò il Friuli e si trasferì a Roma, cercando di ricominciare lontano dai pregiudizi. Qui, tra le borgate della periferia romana, trovò l’ispirazione per i suoi primi romanzi: “Ragazzi di vita” (1955) e “Una vita violenta” (1959). Racconti duri e senza filtri sulla marginalità urbana. “Roma mi ha salvato”, diceva spesso agli amici. Ma la città non gli risparmiò processi e polemiche: le sue opere vennero più volte accusate di oscenità o apologia. Pasolini non si tirò indietro e difese a voce alta la sua “diversità”, anche davanti ai giudici.
Negli anni Sessanta e Settanta, Pasolini diventò un regista capace di lasciare il segno nel cinema italiano: da “Accattone” (1961) a “Mamma Roma” (1962), da “Uccellacci e uccellini” (1966) a “Medea” (1969), fino a “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) e al discusso “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975). Film che spesso scatenarono dibattiti accesi e che lo resero un personaggio pubblico divisivo. “Non sono mai stato organico a nulla”, amava ripetere. La sua “retorica della provocazione” era il modo per smascherare le ipocrisie della società neocapitalista.
A cinquant’anni dalla morte, il mistero su chi abbia davvero ucciso Pasolini resta aperto. All’epoca, fu Pino Pelosi – un giovane della periferia romana – a confessare l’omicidio. Ma nel tempo sono venute fuori nuove piste, testimonianze contrastanti e dubbi mai risolti. Oggi, studiosi come Walter Siti e critici come Dacia Maraini ricordano quanto Pasolini sia ancora centrale nel dibattito culturale italiano. “Ha anticipato molte delle contraddizioni del nostro tempo”, ha detto Siti in un’intervista recente.
Le iniziative per il cinquantenario si moltiplicano. A Ostia, stamattina una folla silenziosa si è raccolta davanti alla stele che ricorda il poeta; a Casarsa, nel pomeriggio, si sono tenute letture pubbliche dei suoi versi e proiezioni dei suoi film più famosi. Anche a Bologna, la sua città natale, l’Università ha organizzato un convegno internazionale. “Pasolini ci obbliga ancora a riflettere”, ha detto il sindaco di Roma Roberto Gualtieri durante la cerimonia ufficiale.
Cinquant’anni dopo quella notte all’idroscalo – fredda, umida, con il vento che veniva dal mare – l’Italia continua a confrontarsi con l’eredità scomoda di un intellettuale che non ha mai smesso di dividere e far discutere. Ma forse è proprio in questa inquietudine che si misura la forza della sua voce.
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