Categories: Spettacolo e Cultura

Le farfalle della Giudecca: il documentario proiettato nel carcere femminile di Venezia

Roma, 19 dicembre 2025 – Nel primo pomeriggio di oggi, nel carcere femminile di Rebibbia, un gruppo di detenute ha assistito alla proiezione di un documentario che racconta la loro vita quotidiana all’interno dell’istituto. Un appuntamento molto atteso, che si è tenuto nella sala polivalente a partire dalle 15.30, con la presenza di educatori, volontari e membri della direzione penitenziaria. Un momento diverso dal solito, spiegano alcune protagoniste, che hanno voluto condividere – tutte insieme – le storie della loro esperienza dietro le sbarre, portate sullo schermo.

Una proiezione vissuta da chi c’è dentro

Circa trenta detenute, secondo gli operatori, hanno seguito con grande attenzione il filmato realizzato lo scorso autunno grazie a un progetto promosso dall’associazione “Voci Libere”. Le riprese sono durate oltre tre mesi: microfoni e telecamere hanno accompagnato i movimenti nei reparti e nel cortile, con interviste nelle celle o durante i laboratori. Il risultato è poco più di un’ora di immagini che mostrano in modo concreto la vita quotidiana in carcere: dalla sveglia alle 7 alla colazione, dai turni in cucina alle ore passate tra i corsi formativi. Momenti in cui, come racconta Elisa, 42 anni, “sentirsi viste e ascoltate aiuta davvero a sopportare meglio la giornata”.

L’atmosfera in sala alterna silenzi a qualche risata. Non tutte si riconoscono subito; qualcuna cerca il proprio volto tra i primi piani che scorrono veloci. Nei primi minuti c’è chi abbassa lo sguardo o commenta a bassa voce con la compagna accanto. “Rivedersi è strano,” ammette Sara, 29 anni, “non pensavo facesse così effetto”. Solo verso la fine, quando appaiono le immagini del laboratorio teatrale, si scioglie la tensione: applausi spontanei per due minuti abbondanti.

Le reazioni dentro e fuori il carcere

Per la direttrice di Rebibbia, Rita Fedele, “questi momenti aiutano le persone detenute a vedersi in un percorso possibile di cambiamento”. Un’operatrice sociale osserva che l’adesione è stata più alta del previsto: alcune donne hanno voluto parlare davanti alla telecamera, altre hanno preferito solo ascoltare. “La partecipazione è stata reale,” racconta. All’uscita dalla sala una donna con accento campano sussurra: “Vorrei poterlo far vedere ai miei figli”. Una frase che rimane sospesa qualche secondo mentre si riaccendono le luci.

Tra il pubblico c’erano anche alcuni membri dell’associazione promotrice e due rappresentanti del Garante dei detenuti del Lazio. Sono state raccolte impressioni su come migliorare il dialogo tra chi vive il carcere e chi sta fuori. Non sono mancati domande e scambi: qualcuno ha chiesto più incontri come questo; altri più occasioni per imparare nuove cose. Su un punto però tutte sono d’accordo: “Sentire la propria storia raccontata è molto diverso dal leggerla o immaginarla,” riassume Fatima, originaria del Marocco.

Un progetto nato dal basso

Il documentario nasce da una serie di laboratori avviati a settembre – spiegano gli organizzatori – con l’obiettivo di far parlare le donne stesse e rompere stereotipi. “Abbiamo lavorato senza copione,” dice Francesca Mori, coordinatrice di “Voci Libere”, “lasciando che fossero loro a scegliere i temi da trattare”. Nel filmato si alternano riflessioni personali, ricordi d’infanzia, racconti dei primi giorni in carcere e sogni per il futuro. Alcune scene mostrano il reparto maternità – pochi secondi silenziosi –, altre si soffermano sui murales lungo il corridoio d’ingresso.

Non mancano passaggi difficili: l’allontanamento dalla famiglia o la convivenza forzata con donne dalle storie molto diverse tra loro. Giovanna racconta: “All’inizio avevo paura di parlare davanti alla telecamera. Poi ho pensato che era meglio così piuttosto che restare zitta”. A chiudere c’è una sequenza di primi piani e mani intrecciate sul tavolo.

Verso nuovi percorsi di reinserimento

La proiezione rientra nel programma del Progetto Donne e Carcere, sostenuto dal Ministero della Giustizia. Secondo dati aggiornati a novembre 2025, nella sezione femminile di Rebibbia sono rinchiuse circa 320 donne; metà partecipa regolarmente alle attività formative o trattamentali offerte dall’istituto.

Gli organizzatori hanno già annunciato l’intenzione di portare l’esperienza anche in altri istituti italiani nei prossimi mesi. L’obiettivo rimane quello di rendere visibili storie spesso nascoste dietro le mura del carcere. E oggi, almeno per un’ora, quelle storie sono arrivate anche fuori da Rebibbia.

Antonella Romano

Sono una redattrice innamorata della Sicilia, e in particolare della mia Palermo. Fin da piccola, ho respirato l'aria vibrante di questa terra ricca di storia, cultura e tradizioni. Ogni vicolo di Palermo racconta storie antiche, e io non mi stanco mai di scoprirle e condividerle. Mi sono laureata in Lettere Moderne presso l'Università di Palermo, dove ho approfondito il mio amore per la scrittura e la narrazione. Dopo gli studi, ho avuto l'opportunità di collaborare con diverse testate giornalistiche e riviste locali, scrivendo articoli che esplorano le meraviglie artistiche, culinarie e naturalistiche della nostra isola. La mia vera passione, tuttavia, è raccontare la vita quotidiana della Sicilia e i suoi abitanti straordinari. Cerco di portare i lettori in un viaggio virtuale tra mercati colorati, spiagge dorate e festival affollati, sperando di trasmettere l'unicità e la bellezza di questa terra. Quando non sono dietro alla tastiera, mi piace camminare lungo la costa, visitare i mercati locali e assaporare piatti tradizionali cucinati con amore. Ogni giorno in Sicilia offre l'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo e inaspettato, e non vedo l'ora di condividere queste esperienze con voi. Seguitemi nel mio viaggio attraverso la Sicilia, esplorando insieme cultura, sapori e tradizioni che rendono questa terra davvero speciale. Grazie per essere qui e per la vostra curiosità. Spero che attraverso le mie parole possiate innamorarvi della Sicilia tanto quanto lo sono io!

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