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Frank Gehry: Viaggio tra le sue opere iconiche e l’eredità culturale in Italia

Milano, 17 dicembre 2025 – Un ricordo sentito ha attraversato ieri Milano, dove istituzioni, cittadini e colleghi si sono ritrovati per omaggiare il grande architetto scomparso pochi giorni fa. Nella sala piena della Triennale di Milano, dal primo pomeriggio, si sono susseguiti esponenti dell’arte, della politica e della cultura. Con parole semplici o silenzi carichi di emozione, tutti hanno voluto sottolineare quanto profonda sia stata l’eredità culturale lasciata dall’architetto nel volto delle nostre città.

La cerimonia alla Triennale: architetti, studenti e cittadini in fila

La commemorazione è partita poco dopo le 14, quando sono state aperte le porte al pubblico. Decine di persone aspettavano lungo viale Alemagna, molte con mazzi di fiori o schizzi originali dei suoi progetti più famosi. “Mi ha insegnato che un edificio deve raccontare una storia”, ha detto Luca Bianchi, studente del Politecnico, con la voce rotta e una monografia consumata tra le mani. Accanto a lui, Maria Santi, docente, ha spiegato come l’impronta dell’architetto resti viva nei programmi di studio e nelle menti di chi oggi si affaccia al mestiere: “Si sente nelle nuove generazioni il desiderio di continuare a indagare il rapporto tra spazio e persona”.

Le parole delle istituzioni: “Ha cambiato il volto delle nostre città”

Numerosi rappresentanti delle istituzioni hanno preso parte all’omaggio. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha ricordato i progetti condivisi negli ultimi anni: “Era un uomo capace di unire visione e concretezza”, ha detto. C’era anche il ministro della Cultura, Gennaro Polito, che ha definito l’eredità lasciata come “un contributo tangibile al modo di vedere la città contemporanea”. Poco prima delle 16, la presidente del Triennale Stefania Rossi è salita sul palco per un breve discorso che ha raccolto un lungo applauso: “Ha ridato a Milano la capacità di pensarsi nuova”.

Un’eredità urbana: i progetti che hanno segnato una generazione

Sono stati ricordati diversi progetti simbolo che hanno dato forma allo skyline di Milano, ma anche interventi a Torino, Roma e Firenze. Tra i più citati, la riqualificazione dell’ex area Porta Vittoria e la progettazione della Biblioteca degli Alberi, oggi il polmone verde tra Porta Nuova e Isola. Secondo l’Ordine degli Architetti, solo nell’area milanese portano la sua firma oltre venti opere. Un percorso fatto di edifici civili, spazi pubblici e persino scuole elementari. “Non è solo una questione estetica”, ha detto l’urbanista Paola Ferreri ai giornalisti presenti: “Ha pensato la città come un luogo da vivere insieme”.

Impatto internazionale e futuro dell’eredità culturale

Non solo in Italia. Il suo lavoro ha lasciato traccia anche all’estero – Parigi, Berlino e Tokyo –, dove alcuni progetti hanno vinto premi importanti. La rivista Domus lo ha definito ieri mattina “radicale nella semplicità”. “Ha portato un pezzo d’Italia nel mondo”, si è sentito ripetere più volte in sala. Ma – hanno ammesso in molti – la vera eredità non sta solo nel cemento o nel vetro: “È nei valori che ha trasmesso ai suoi allievi”, ha confidato Chiara Lupi, giovane architetta che è stata al suo fianco fino all’ultimo giorno.

L’eredità tra memoria e futuro

Verso sera la folla si è diradata. Sono rimasti solo alcuni studenti davanti ai pannelli che raccontavano mezzo secolo di carriera. Le luci soffuse della Triennale accentuavano quella sensazione sospesa nel tempo. Un gruppo di giovani parlava piano su come il ruolo sociale dell’architettura debba ancora reinventarsi: “Non basta costruire”, diceva uno di loro. Ed è qui che sembra stare il vero messaggio lasciato dal maestro – pensare sempre a chi vivrà quei luoghi. Solo così il mestiere diventa memoria condivisa.

Così Milano ha salutato uno dei suoi grandi maestri. Senza retorica ma con rispetto vero. La città promette di non dimenticare quella eredità culturale che continua a ispirare chi oggi disegna lo spazio urbano del domani.

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