Catania, 28 dicembre 2025 – Il cratere nato nel 1911 sull’Etna è oggi il più antico tra i quattro che si stagliano sulla cima del vulcano. Lo ha spiegato Boris Behncke, vulcanologo dell’Ingv di Catania, durante un incontro con la stampa locale, sottolineando come quella formazione abbia cambiato per sempre l’aspetto e l’attività eruttiva dell’ultimo secolo.
Il cratere del 1911: una svolta nella storia dell’Etna
“Quello del 1911 è il più vecchio dei quattro crateri sommitali attivi che vediamo oggi,” ha raccontato Behncke, seduto nel piccolo ufficio all’osservatorio etneo, alle pendici del vulcano. È difficile immaginare come fosse la vetta prima di quell’anno: un paesaggio diverso, senza quella bocca aperta che ancora fuma a intervalli regolari, tra le nevi e le rocce nere.
Per il vulcanologo, il cratere del 1911 si è aperto in un momento di grande fermento per l’Etna. “I dati d’archivio, le foto d’epoca e le testimonianze confermano che proprio in quell’anno si è manifestata una nuova attività esplosiva nella zona sommitale. Da allora la struttura si è consolidata lentamente, cambiando profondamente la morfologia di tutta l’area.”
Quattro crateri in vetta: origini diverse e un equilibrio fragile
Adesso l’Etna ha quattro crateri attivi sulla cima: il cratere del 1911, la Bocca Nuova, il cratere di Nord-Est e quello di Sud-Est. Ognuno con una storia diversa. “Solo quello nato nel 1911 è il più antico ancora in attività,” precisa Behncke. “Gli altri sono comparsi dopo, tra gli anni Sessanta e Settanta.” La Bocca Nuova, per esempio, risale al 1968. Il cratere di Nord-Est invece è nato nel 1911 ma ha preso forma come entità distinta solo dopo una serie di eventi secondari. Il Sud-Est è molto più giovane: “La sua attività principale parte dagli anni ’70 e ’80 ed è aumentata negli ultimi vent’anni.”
La convivenza di queste bocche eruttive crea un equilibrio precario: basta poco – una variazione nella pressione o nel flusso magmatico – per far saltare tutto. “Per questo teniamo d’occhio ogni parametro – emissioni di gas, tremori sismici, deformazioni – perché ogni cambiamento può essere il segnale di una nuova eruzione.”
Territorio e sicurezza sotto la lente
Il cratere nato nel 1911, ormai parte integrante della cima complessa dell’Etna, resta un punto chiave sia per la ricerca sia per la protezione civile. “Quando ci sono nuove eruzioni o esplosioni stromboliane spesso sono queste bocche – a partire dalla più vecchia – a dare i primi segnali,” ha spiegato Behncke.
Negli ultimi mesi l’attività dell’Etna è stata sorvegliata con attenzione soprattutto dopo quanto accaduto nella notte tra il 14 e il 15 ottobre. Un’esplosione ha scagliato cenere e lapilli fino a quota 3.000 metri. L’Ingv, grazie al suo sistema di monitoraggio, ha potuto individuare con precisione da dove veniva tutto ciò: “Quasi sempre dal cratere del 1911 o dai dintorni,” raccontano i tecnici.
Le autorità locali ricordano che la presenza di più crateri comporta rischi diffusi: “Ogni bocca può comportarsi in modo diverso – alcune mandano segnali chiari in anticipo, altre sono imprevedibili. Solo restando sempre sul pezzo possiamo intervenire tempestivamente per proteggere chi vive e chi visita questa zona,” dice Salvatore Messina, responsabile della protezione civile etnea.
Continua lo studio: dati sul campo e scenari futuri
I ricercatori non abbassano mai la guardia. “Negli ultimi dieci anni abbiamo raccolto migliaia di dati – campionamenti dei gas, rilievi con droni, registrazioni sismiche ad alta frequenza,” spiega Behncke. Tutto questo aiuta a migliorare i modelli previsionali. “L’Etna è uno dei vulcani più studiati in Europa – aggiunge – perché permette di vedere da vicino come si formano e cambiano questi grandi crateri attivi.”
Il cratere del 1911 continua a raccontare una storia lunga oltre cento anni. Una storia fatta di esplosioni improvvise, silenzi prolungati e risvegli notturni. “Non possiamo prevedere tutto – ammette Behncke con un sorriso amaro – ma sappiamo che ogni dato raccolto oggi ci aiuterà a capire meglio cosa potrebbe succedere domani.”





