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Addio a Frank Gehry, il Borromini del Novecento che ha rivoluzionato l’architettura dal Guggenheim di Bilbao a Los Angeles

Milano, 6 dicembre 2025 – Frank Gehry, nato a Toronto nel 1929 e naturalizzato statunitense, ha rivoluzionato l’architettura con le sue forme irregolari e l’uso inedito dei materiali. Da Bilbao a Los Angeles, passando per Parigi e Abu Dhabi, le sue creazioni sono diventate un vero e proprio simbolo di una visione che rompe con ogni regola fissa. È grazie a lui se oggi edifici come il Guggenheim Museum di Bilbao (aperto nel 1997) sono visti non solo come contenitori di cultura, ma come icone urbane capaci di cambiare il destino delle città.

Il “Bilbao effect” che ha ridato vita a una città

Nel cuore dei Paesi Baschi, il progetto per il museo Guggenheim ha segnato una svolta, non solo per Gehry ma per tutta Bilbao. Prima, la città era un centro industriale in declino, affacciato su un fiume grigio e spento. La Fondazione Solomon R. Guggenheim puntò in alto: affidare a un architetto noto per il suo stile anticonformista la rinascita di un’intera città. Gehry rispose con una struttura rivestita in titanio e vetro, fatta di curve che sembrano squame di pesce. “Abbiamo voluto stupire, ridare speranza”, ha detto più volte nelle interviste.

Il risultato è stato evidente: secondo i dati del Comune, negli anni dopo l’apertura del museo i turisti sono aumentati di oltre il 60%. L’impatto economico diretto e indiretto supera i 500 milioni di euro. A Bilbao il termine “Bilbao effect” è diventato quasi una leggenda. Da allora tanti amministratori sognano il loro “effetto Guggenheim”.

Da Los Angeles a Parigi: segni indelebili

Ma non c’è solo la Spagna nella storia artistica di Gehry. Nel 2003, nel centro di Los Angeles, si inaugura la Walt Disney Concert Hall: una nave d’acciaio pronta a salpare tra i grattacieli di Grand Avenue. Anche qui Gehry punta tutto sull’asimmetria e lascia che la luce giochi sulle superfici metalliche.

A Parigi invece è la Fondation Louis Vuitton a catturare gli sguardi dal 2014. Costruita nel Bois de Boulogne su commissione del gruppo LVMH, la struttura sembra una nuvola o un veliero sospeso tra vetro e acciaio bianco. “L’architettura serve anche a far sognare”, ha ammesso Gehry durante l’inaugurazione.

Ogni edificio – dal Museum of Pop Culture di Seattle all’auditorium spagnolo fino alla sua casa privata, la Gehry House di Santa Monica – porta l’impronta irrequieta del suo autore. Non sempre i suoi progetti sono stati accolti senza polemiche: “Troppo strano”, “incomprensibile”, scrivevano i giornali all’inizio.

Il linguaggio della rottura: materiali e libertà

Uno dei tratti distintivi di Gehry è l’uso originale dei materiali – soprattutto metallo, vetro e legno – e una visione dello spazio tutta sua. Le sue opere sembrano sempre pronte a staccarsi da terra. Per molti critici rappresentano una vera rottura rispetto al razionalismo degli anni ’70 e ’80.

“La cosa più difficile”, ha detto più volte l’architetto, “è far capire che anche l’architettura può essere un gioco serio”. Eppure riconoscimenti non gli sono mancati: su tutti il Pritzker Prize (1989), considerato il Nobel dell’architettura, oltre a diverse lauree honoris causa. Nel 2019 il Los Angeles Times lo ha inserito tra le cento personalità che hanno segnato la storia recente della città.

L’eredità del ribelle che continua a scommettere

Oggi Gehry continua a disegnare – a 96 anni – senza perdere quella vena provocatoria che lo ha reso celebre. Ha appena firmato la nuova torre Luma ad Arles e collabora ancora con università e musei in tutto il mondo. Il suo studio a Los Angeles resta un laboratorio sempre vivo dove decine di giovani architetti imparano osservando i suoi bozzetti.

Nelle sue parole si sente ancora stupore per quello che ha realizzato: “Non avrei mai pensato che avrebbero costruito così tante delle mie follie”, ripete spesso con un sorriso furbo. Solo così si capisce davvero quanto Gehry abbia lasciato il segno – non solo con le sue architetture ma soprattutto con la libertà di pensare – sulla città contemporanea e sul modo in cui viviamo gli spazi urbani oggi.

Antonella Romano

Sono una redattrice innamorata della Sicilia, e in particolare della mia Palermo. Fin da piccola, ho respirato l'aria vibrante di questa terra ricca di storia, cultura e tradizioni. Ogni vicolo di Palermo racconta storie antiche, e io non mi stanco mai di scoprirle e condividerle. Mi sono laureata in Lettere Moderne presso l'Università di Palermo, dove ho approfondito il mio amore per la scrittura e la narrazione. Dopo gli studi, ho avuto l'opportunità di collaborare con diverse testate giornalistiche e riviste locali, scrivendo articoli che esplorano le meraviglie artistiche, culinarie e naturalistiche della nostra isola. La mia vera passione, tuttavia, è raccontare la vita quotidiana della Sicilia e i suoi abitanti straordinari. Cerco di portare i lettori in un viaggio virtuale tra mercati colorati, spiagge dorate e festival affollati, sperando di trasmettere l'unicità e la bellezza di questa terra. Quando non sono dietro alla tastiera, mi piace camminare lungo la costa, visitare i mercati locali e assaporare piatti tradizionali cucinati con amore. Ogni giorno in Sicilia offre l'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo e inaspettato, e non vedo l'ora di condividere queste esperienze con voi. Seguitemi nel mio viaggio attraverso la Sicilia, esplorando insieme cultura, sapori e tradizioni che rendono questa terra davvero speciale. Grazie per essere qui e per la vostra curiosità. Spero che attraverso le mie parole possiate innamorarvi della Sicilia tanto quanto lo sono io!

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