Dopo quasi un decennio di battaglie legali e sofferenze, un importante riconoscimento è giunto per la vedova di C.F., un ex aggiustatore meccanico delle Ferrovie dello Stato, deceduto a causa di un carcinoma polmonare. La sentenza del Tribunale di Catania ha stabilito che l’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) deve corrispondere una rendita di reversibilità, superando l’importo di 150.000 euro, in favore della moglie dell’uomo, il cui decesso è avvenuto all’età di 65 anni.
C.F., originario di Catania, ha dedicato 38 anni della sua vita al servizio delle Ferrovie dello Stato, prestando la sua opera in vari stabilimenti della RFI S.p.A. La sua carriera è iniziata nel deposito locomotive dell’officina veicoli di Catania, per poi proseguire in altri uffici, tra cui quelli di Messina e Palermo. Durante la sua attività lavorativa, C.F. è stato esposto a sostanze altamente pericolose, in particolare all’amianto, senza ricevere le adeguate protezioni. I componenti ferroviari con cui lavorava, come freni, guarnizioni e rivestimenti, contenevano amianto, utilizzato per le sue proprietà ignifughe, ma estremamente tossico per la salute umana.
La diagnosi e la battaglia legale
La diagnosi di carcinoma polmonare è arrivata nel 2013, ma la battaglia per il riconoscimento della malattia come correlata al lavoro è stata lunga e complessa. Nonostante il legame tra l’esposizione all’amianto e il tumore fosse evidente, l’INAIL ha inizialmente negato il nesso causale, rifiutando di riconoscere la patologia come professionale. Questo ha costretto la moglie, assistita dall’avvocato Ezio Bonanni, a intraprendere un ricorso, una decisione che ha richiesto non solo tempo e risorse, ma anche una grande determinazione.
Il percorso legale è stato segnato da due consulenze medico-legali, che hanno analizzato l’esposizione ad agenti cancerogeni sul luogo di lavoro di C.F. La sentenza finale ha accolto le istanze della vedova, riconoscendo ufficialmente che il tumore al polmone, nonostante la storia di fumatore dell’uomo, aveva un’origine professionale. “Questa sentenza è un atto di verità e giustizia”, ha dichiarato l’avvocato Bonanni, sottolineando l’importanza di riconoscere il legame tra malattie professionali e l’esposizione a sostanze tossiche.
L’amianto in Italia e le sue conseguenze
Il caso di C.F. non è isolato. In Italia, l’amianto è stato utilizzato per decenni in molte industrie, inclusa quella ferroviaria, e le conseguenze per la salute dei lavoratori sono state devastanti. Le malattie legate all’amianto, come il mesotelioma e il carcinoma polmonare, continuano a rappresentare un grave problema di salute pubblica, nonostante il divieto del suo utilizzo in molti paesi. Le famiglie delle vittime spesso si trovano a dover affrontare battaglie legali difficili e prolungate per ottenere il riconoscimento dei diritti dei loro cari.
La sentenza del Tribunale di Catania rappresenta quindi un importante passo avanti per tutte quelle famiglie che, come quella di C.F., hanno subito perdite a causa di malattie professionali legate all’amianto. Tuttavia, la lotta non è ancora finita. “Ancora oggi, nonostante decine di sentenze, l’INAIL continua a negare il nesso con l’esposizione all’asbesto”, ha continuato Bonanni, evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza e di azioni più decisive per proteggere i lavoratori esposti a rischi simili.
La dimensione umana della questione
La questione dell’amianto non è solo legale, ma anche umana e sociale. Le vittime e le loro famiglie affrontano un doppio dolore: la perdita di un congiunto e la difficoltà nel ricevere giustizia. Il riconoscimento da parte del tribunale non rappresenta solo un risarcimento economico, ma anche un atto di dignità e un riconoscimento dei diritti di chi ha lavorato in condizioni pericolose.
Il caso di C.F. è emblematico di una realtà che coinvolge migliaia di lavoratori in tutta Italia, molti dei quali continuano a lottare per il riconoscimento delle malattie professionali. La sentenza di Catania può quindi fungere da esempio e da stimolo per altre famiglie che si trovano ad affrontare situazioni simili, incoraggiandole a non arrendersi e a cercare giustizia. La battaglia contro l’amianto è una lotta che richiede unità e determinazione, affinché non si ripetano più tragedie come quella di C.F. e di altri lavoratori che hanno pagato un prezzo troppo alto per il loro impegno professionale.