La tubercolosi è una malattia infettiva che continua a rappresentare una delle principali cause di morte nel mondo, colpendo ogni anno circa 7,5 milioni di persone e causando la morte di circa 1,3 milioni. Nonostante i progressi della medicina moderna e le campagne di prevenzione, questa malattia è ancora ben lungi dall’essere sconfitta. Le storie legate alla tubercolosi sono sempre attuali, e a Palermo, la lotta contro di essa ha dato vita a un percorso ricco di sofferenza e speranza, con la filantropia che ha giocato un ruolo cruciale. Il libro “Tubercolosi a Palermo” di Mario Spatafora, medico specializzato in malattie respiratorie, offre una narrazione dettagliata che esplora questo tema.
Storia della tubercolosi a Palermo
Il libro di Spatafora analizza il periodo che va dall’Ottocento fino al Dopoguerra, mettendo in luce figure emblematiche e luoghi significativi che hanno segnato la storia della tubercolosi a Palermo. La malattia colpiva indifferentemente ricchi e poveri, e le storie dei malati si intrecciano con quelle dei filantropi che hanno cercato di alleviare le sofferenze. Tra i personaggi chiave emerge Giulia Alliata di Montereale, principessa di Gangi, che, pur vivendo nel lusso, si dedicò attivamente alla causa dei bambini malati di tubercolosi, fondando la Casa del Sole. La sua vita rappresenta un paradosso: mentre viveva nell’opulenza, combatteva una malattia che affliggeva i più vulnerabili.
Figure chiave nella lotta contro la tubercolosi
Un altro personaggio fondamentale è Vincenzo Cervello, un tisiologo che creò il secondo sanatorio popolare in Italia. La sua dedizione e le sue azioni filantropiche hanno fornito cure e supporto a chi non poteva permettersi un trattamento adeguato. La sua opera è un esempio lampante di come medicina e filantropia possano unirsi per affrontare le emergenze sanitarie.
Negli anni ’30, Palermo disponeva di vari centri antitubercolari, tra cui lo Spasimo nel quartiere Kalsa. Nel 1934, questo sanatorio accolse 83 donne affette da tubercolosi. Tragicamente, 34 di loro morirono, mentre 49 furono dimesse “volontariamente per indisciplina”. Questo fenomeno di dimissioni, sebbene apparisse come un atto di libertà, rappresentava in realtà una grave sanzione, poiché le pazienti tornavano a casa portando con sé non solo la malattia, ma anche la fonte di infezione.
Resilienza e speranza nella comunità
Le difficoltà personali e le necessità insoddisfatte all’interno dei sanatori alimentavano traffici illeciti e comportamenti a rischio. Alcune donne, frustrate dalle restrizioni, cercavano conforto nel consumo di alcolici o in relazioni occasionali. Questi fenomeni complicavano ulteriormente il già difficile quadro sanitario, mettendo in luce le fragilità di un sistema che, pur cercando di curare, affrontava le proprie contraddizioni.
La narrazione di Spatafora non si limita a descrivere il dolore e la sofferenza, ma evidenzia anche la resilienza della comunità palermitana. All’interno dei sanatori, i pazienti si sostenevano a vicenda, creando legami di solidarietà che trascendevano le barriere sociali. Le storie di vita che emergono dal libro sono un mosaico di esperienze che raccontano come, nonostante le avversità, la speranza e l’umanità possano emergere anche nei contesti più difficili.
Oggi, mentre la tubercolosi continua a rappresentare una minaccia globale, è fondamentale ricordare le storie di chi ha lottato contro di essa. La memoria di figure come Giulia Alliata e Vincenzo Cervello è un monito e un’ispirazione. La loro dedizione ha contribuito a costruire una rete di sostegno che ha fatto la differenza nella vita di molti. L’eredità di questi filantropi continua a vivere, ricordandoci l’importanza di rimanere vigili e attivi nella prevenzione e nella cura di questa malattia, ancora oggi presente nelle nostre vite.