Catanzaro, 12 dicembre 2025 – Dietro la facciata di un’associazione impegnata nel sociale si nascondeva un meccanismo per agevolare la ‘ndrangheta. È quanto ha scoperto l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che stamattina all’alba ha eseguito dodici arresti tra le province di Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria. I Carabinieri del Comando provinciale, con il supporto dei reparti speciali e in collaborazione con la Guardia di Finanza, hanno fermato i sospetti. Secondo gli investigatori, dietro la presunta attività sociale si celavano gli interessi dei clan.
Un’associazione “sociale” trasformata in roccaforte mafiosa
La sede principale si trovava a Rossano, ma i legami arrivavano ben oltre la Sibaritide. Gli inquirenti raccontano di una gestione che, dietro operazioni come distribuzione di viveri o aiuti agli anziani, metteva a disposizione della criminalità luoghi d’incontro, appoggi logistici e rifugi per i latitanti. “Era un punto sicuro per gli uomini del clan, dove potevano incontrarsi senza rischiare”, ha detto il colonnello Mauro Sessa, comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza.
Al centro dell’inchiesta c’è soprattutto il presidente dell’associazione: un 46enne di Corigliano-Rossano, conosciuto nel mondo del terzo settore. Secondo gli accertamenti sarebbe stato lui a garantire l’ingresso di fondi pubblici nelle casse dei gruppi mafiosi. Le indagini sono partite nel 2023 dopo alcune segnalazioni anonime che facevano sorgere dubbi sull’uso reale di quei soldi.
Intercettazioni svelano il gioco sporco sui fondi pubblici
Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno aperto uno squarcio importante: la sede veniva usata per organizzare estorsioni e truffe ai danni dello Stato. “Abbiamo documentato incontri riservati con esponenti noti della ‘ndrangheta – ha spiegato il procuratore capo Nicola Gratteri – e ricostruito come parte dei finanziamenti pubblici finisse su conti intestati a prestanome”. Non è ancora chiaro quanto denaro sia stato sottratto. Ma fonti investigative parlano di “decine di migliaia di euro”, parte dei quali provenienti da bandi destinati al contrasto della povertà.
Dalle registrazioni emergono particolari concreti: date degli incontri, nomi in codice, somme divise tra i referenti. “Parlavano senza paura, convinti che nessuno avrebbe mai messo in dubbio un’associazione benefica”, racconta un investigatore coinvolto nell’indagine. Tra gli indagati spuntano anche almeno due amministratori locali.
Legami stretti con i clan e reazioni sul territorio
Gli arrestati sono considerati vicini alle cosche degli Acri-Morfò, una delle più attive tra Sibaritide e Vibonese. L’accusa sostiene che l’associazione fosse usata anche per reclutare nuovi membri e scambiare messaggi segreti. Stamattina a Corigliano-Rossano le strade erano sorvegliate dalle forze dell’ordine; molti curiosi hanno assistito alle operazioni. “Non avremmo mai pensato a una cosa simile – confida un residente in via Nazionale – qui si vedeva solo gente che dava una mano ai bisognosi”.
Duro il commento del sindaco Flavio Stasi: “Se tutto sarà confermato, sarà una ferita profonda per la nostra comunità”. La Regione Calabria ha già annunciato la sospensione immediata dei fondi destinati all’associazione.
Cosa succederà ora: testimonianze e nuovi accertamenti
Nelle prossime settimane saranno ascoltati diversi testimoni, tra cui operatori sociali e chi ha beneficiato delle attività dell’associazione. I magistrati vogliono fare chiarezza su tutti i passaggi che hanno permesso l’erogazione dei soldi pubblici. La Procura sottolinea che l’inchiesta andrà avanti anche per capire se ci sono responsabilità politiche.
Intanto la vicenda riapre il dibattito sul rischio infiltrazioni nel terzo settore calabrese. “Non basta avere buona volontà”, mette in guardia Don Luigi Ciotti, presidente di Libera. “Serve vigilanza costante”. Molti si chiedono quante altre realtà siano state usate allo stesso modo. E oggi in città circola una domanda semplice ma pesante: chi protegge davvero chi aiuta?





