Milano, 5 novembre 2025 – È partito ieri il ciclo di incontri “Note di storia”, promosso dal Teatro alla Scala insieme alla Fondazione Feltrinelli. Il primo appuntamento ha avuto come protagonisti Pasternak e Šostakovič, due figure che, tra Mosca e Milano, hanno vissuto sulla propria pelle il peso della censura e l’importanza della libertà artistica. Tema di quest’anno: “Musica, intellettuali, censura”.
Pasternak e Feltrinelli: il viaggio clandestino del “Dottor Živago”
Non è un caso che si sia iniziato con Boris Pasternak, autore del celebre “Dottor Živago”, e con il suo editore italiano, Giangiacomo Feltrinelli. La storia dietro la pubblicazione del romanzo è ormai leggenda. Come ha ricordato lo scrittore David Bidussa, parlando davanti a una sala attenta nella Fondazione Feltrinelli, nel 1957 il manoscritto arrivò a Milano dopo un viaggio avventuroso attraverso l’Europa, sfuggendo ai controlli sovietici. Feltrinelli fu il primo a pubblicarlo, sfidando apertamente le pressioni di Mosca. Un gesto che aprì una breccia nella cortina di censura.
“Quel libro non era solo un romanzo, ma una vera testimonianza di libertà”, ha spiegato Bidussa. La pubblicazione costò a Pasternak l’ostracismo in patria, ma segnò anche l’inizio di una nuova stagione per la letteratura russa in Occidente.
Šostakovič e la “Lady Macbeth”: tra speranze e rinvii alla Scala
Meno nota è la storia che lega Dmitrij Šostakovič al Teatro alla Scala. Negli anni Trenta, il compositore fu duramente criticato dal regime staliniano per la sua opera “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” e dovette rivederla profondamente, dando vita a una seconda versione chiamata “Katerina Izmajlova”. Proprio questa versione avrebbe dovuto debuttare a Milano nella stagione lirica 1958/59.
A ricostruire quei retroscena è stato il sovrintendente scaligero Fortunato Ortombina. Nel 1958, il direttore artistico della Scala, Francesco Siciliani, propose a Šostakovič di portare l’opera a Milano. Il compositore accettò con entusiasmo, tanto che si fissò una data ipotetica per la prima: il 18 marzo 1959. “Sembrava tutto pronto”, ha ricordato Ortombina. “Il titolo era già nelle locandine, anche se senza una data precisa. Il regista Luchino Visconti e il cast aspettavano solo la partitura”.
Il debutto mancato: Milano aspetta, Mosca anticipa
Ma la partitura non arrivò in tempo. Šostakovič, ancora impegnato nelle ultime revisioni, mandò un telegramma a Siciliani: avrebbe consegnato lo spartito solo dopo la prima prevista a Leningrado nel 1959. Le cose, però, andarono diversamente. La nuova versione di “Lady Macbeth” debuttò a Mosca solo nel 1962, lasciando Milano a mani vuote.
“Questa storia racconta molto del clima culturale dell’epoca”, ha detto Ortombina. “La censura non era solo una questione burocratica, ma un vero muro tra artisti e pubblico internazionale”. Solo ora, con l’apertura della stagione lirica 2025/26 al Piermarini affidata proprio a “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”, si chiude idealmente quel cerchio rimasto aperto per decenni.
Musica e censura, un filo che attraversa i tempi
Il ciclo “Note di storia” continuerà nelle prossime settimane con altri incontri dedicati al rapporto tra musica, intellettuali e censura. Un tema, come hanno ricordato i relatori, che resta purtroppo attuale. “La libertà artistica non è mai qualcosa di scontato”, ha concluso Bidussa. “Le storie di Pasternak e Šostakovič ci insegnano che ogni conquista va difesa giorno dopo giorno”.
Milano si conferma così punto d’incontro di storie e culture, un luogo dove musica e letteratura continuano a sfidare i confini imposti dalla politica. Dove il passato torna a parlare al presente, tra le note di una stagione lirica che guarda oltre ogni barriera.





