Messina, 20 dicembre 2025 – La Procura di Messina ha formalizzato l’accusa di aggravante mafiosa e impiego di un minorenne nell’ambito di un’inchiesta che in queste ore ha acceso i riflettori sulla ripresa delle attività della criminalità organizzata in città. L’indagine, guidata dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio, riguarda episodi avvenuti tra il centro storico e il rione Giostra, tra la fine dell’autunno e i primi giorni di dicembre. Al centro del fascicolo, spiegano gli inquirenti, ci sono diversi reati contro il patrimonio aggravati dall’articolo 416 bis del codice penale, oltre all’utilizzo di un ragazzo ancora minorenne per compiti specifici.
Indagini e ipotesi degli inquirenti
La decisione di contestare l’aggravante mafiosa non è casuale. Gli investigatori della squadra mobile, su mandato della DDA, hanno raccolto molte prove su una struttura “verticale”, legata – secondo le prime ipotesi – a uno dei gruppi storici della zona tirrenica. Dalle intercettazioni agli appostamenti notturni in via Palermo bassa sono emersi segnali chiari: “C’era una regia, non si trattava di una serie di colpi isolati”, spiegano fonti vicine all’inchiesta.
A preoccupare è anche il coinvolgimento del minorenne. Dai documenti emerge che il ragazzo – appena 17 anni – aveva ruoli precisi: fare da “palo”, trasportare la refurtiva e perfino partecipare direttamente a una delle azioni contestate. “È stato un reclutamento consapevole”, commenta uno degli agenti impegnati nelle indagini. La criminalità organizzata locale punta sempre più spesso sui giovani, attratti dai soldi facili o dal senso di appartenenza.
L’inchiesta prende forma
Non è la prima volta che la Procura di Messina si trova ad affrontare casi simili. Ma come sottolineano gli stessi magistrati, l’estensione dell’attività contestata e il coinvolgimento diretto di un minore rendono la situazione “delicata e preoccupante”. L’area sotto osservazione – tra centro storico e Giostra – è monitorata da mesi. Alcune denunce arrivate a fine ottobre, insieme ai dati raccolti dalle telecamere pubbliche e alle testimonianze degli ultimi giorni, hanno permesso agli investigatori di identificare almeno cinque persone.
Al momento sono scattate misure cautelari per quattro adulti – tra i 24 e i 46 anni – e per il ragazzo di 17 anni. Il giudice per le indagini preliminari ha già disposto le prime restrizioni: carcere per alcuni, domiciliari o obbligo di firma quotidiano alla caserma dei carabinieri di Camaro Inferiore per altri.
La risposta delle istituzioni
In mattinata è arrivato anche il commento del sindaco Federico Basile: “La presenza della mafia e l’impiego dei minori sono segnali che non possiamo ignorare. Serve uno sforzo comune tra scuole, forze dell’ordine e servizi sociali”. Basile ha poi ribadito la necessità di aumentare i controlli sul territorio e sostenere progetti educativi per togliere i ragazzi dal rischio devianza.
Dello stesso avviso il prefetto Cosima Di Stani, che ha convocato d’urgenza il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica a Palazzo del Governo. “Non possiamo permettere che si radichino dinamiche mafiose né che adolescenti in cerca di punti di riferimento vengano compromessi”, ha detto Di Stani davanti ai rappresentanti delle forze dell’ordine.
Verso nuovi sviluppi
Gli investigatori tengono ancora aperti diversi filoni d’indagine. Alcuni elementi emersi nelle prime audizioni fanno pensare che l’attività criminale potesse estendersi anche alle zone periferiche – tra Villa Lina e Bordonaro – con modalità simili. “Stiamo analizzando movimenti sospetti e incrociando i dati delle celle telefoniche”, spiega uno degli ispettori coinvolti.
Per ora la Procura di Messina mantiene il massimo riserbo sull’identità degli indagati. Nei verbali sono presenti numerosi omissis a protezione sia del minorenne coinvolto sia di alcune fonti particolarmente sensibili. Nei prossimi giorni sono previsti nuovi interrogatori nella sede del Tribunale dei Minorenni in via Giuseppe La Farina. Intanto la città segue con attenzione gli sviluppi della vicenda, consapevole che la lotta alla criminalità passa anche dalla capacità – istituzionale ma anche civile – di riconoscere e isolare chi prova a trovare consenso proprio tra i più vulnerabili.





