Milano, 6 dicembre 2025 – In un clima sociale che fatica a prendere una posizione chiara contro la violenza, crescono le preoccupazioni tra educatori, psicologi e rappresentanti istituzionali. Da settimane, nelle scuole e sui social si accendono discussioni: il punto, spiegano insegnanti come Maria Luisa Gentili del liceo Carducci, riguarda la diffusione di messaggi e linguaggi ambigui, che spesso non condannano con forza gli episodi di violenza. Secondo molti, questo atteggiamento rischia di creare un ambiente dove le responsabilità si confondono e le tossine culturali e comunicative continuano a diffondersi.
Linguaggi ambigui e responsabilità sfumate
A far scattare il dibattito sono alcuni episodi recenti, come l’aggressione dello scorso sabato in piazza Leonardo da Vinci, alle 18.30, coinvolgendo due minorenni. “Non si può liquidare tutto con un semplice ‘sono ragazzi’”, sottolinea Gentili. La docente insiste: “In questi casi le parole degli adulti contano davvero: un commento sbagliato o una battuta che minimizza possono diventare una scusa per chi fa del male”.
Negli ultimi mesi non sono mancati commenti pubblici tiepidi o addirittura giustificativi. Dai post nei forum degli studenti alle frasi raccolte davanti alle scuole (“Non è grave come sembra”, “Cose che capitano a tutti”), si percepisce una tendenza a sottovalutare la gravità degli atti violenti. Una posizione che, secondo lo psicologo Stefano Parenti, “finisce per anestetizzare la sensibilità comune e indebolire la capacità di riconoscere i limiti”.
Social: amplificatori delle ambiguità
I social network giocano un ruolo chiave nel diffondere questo clima. Tra video rilanciati su TikTok e chat anonime su Telegram, le frasi ambigue si moltiplicano, creando confusione. La presidente del Consiglio comunale dei ragazzi, Francesca Bassi, racconta che nei gruppi WhatsApp tra coetanei spesso mancano prese di posizione decise. “Si cerca scuse per tutti, anche per chi ha fatto qualcosa di grave”, spiega Bassi durante un incontro al Centro Civico di via Monza.
Questo modo di pensare ha ricadute anche sulle famiglie: l’associazione Genitori Insieme, sentita ieri pomeriggio, parla chiaramente di “un abbassamento della soglia d’allarme”. Una mamma ammette con preoccupazione: “Ho sentito genitori dire ‘sono solo ragazzate’, ma dopo certe notizie la paura resta”.
Politica sotto pressione: serve chiarezza
Il tema arriva anche a Palazzo Marino. L’assessore alle Politiche sociali, Riccardo Antinori, riconosce che “negli ultimi mesi non basta più prevenire la violenza, bisogna intervenire anche sul linguaggio pubblico”. Antinori spiega: “Serve più chiarezza: ogni parola pesa, soprattutto quando arriva da adulti e istituzioni”. Ieri sera in commissione consiliare alcune forze politiche hanno chiesto regole precise per parlare di episodi violenti nelle scuole.
Intanto in Parlamento è in corso l’esame di una proposta per introdurre corsi obbligatori sulla comunicazione responsabile. I dati del Ministero dell’Istruzione parlano chiaro: il 27% degli studenti dichiara di aver sentito almeno una volta commenti minimizzanti da parte degli adulti su bullismo o aggressioni. Un segnale netto che queste tossine si trasmettono da una generazione all’altra.
Educatori in prima linea: serve cambiare marcia
Chi lavora con i ragazzi chiede una svolta netta. La professoressa Gentili rimarca: “Il problema non sono solo gli atti violenti, ma quello che ci diciamo dopo: bisogna chiamare le cose con il loro nome, senza giustificazioni”. Parenti avverte che così “si rischia di far passare l’idea che tutto sia subito perdonabile”. Alcuni insegnanti denunciano casi in cui le vittime vengono messe a tacere per evitare ‘esagerazioni’.
Nel frattempo continuano gli incontri nelle scuole secondarie e nei centri civici, puntando sull’educazione emotiva e sulla formazione degli adulti. Ma dalle testimonianze emerge che la pressione sociale frena ancora prese di posizione chiare, anche quando i fatti sono seri.
Una normalizzazione silenziosa ma pericolosa
Le prime analisi dei servizi sociali mettono in guardia: queste tossine culturali e comunicative possono avere effetti silenziosi e duraturi molto più gravi delle singole aggressioni. Nei corridoi della scuola media Pertini – racconta Antonio Fabbri, bidello – “c’è ancora chi scherza su certi episodi come se fossero barzellette”. Un campanello d’allarme che risuona da tempo.
Gli esperti chiamano tutti alla responsabilità: educatori, famiglie, istituzioni. Perché – conclude Gentili – “solo riconoscendo la forza delle parole possiamo davvero fermare la violenza”. Il dibattito resta aperto. Nel frattempo però, dentro le aule e online, le tossine continuano a circolare senza sosta.





