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Istat 2022: Al Sud oltre 40 case abusive ogni 100 autorizzate, il doppio della media nazionale

Roma, 16 dicembre 2025 – Nel 2022, la media nazionale dei femminicidi in Italia è rimasta ferma a circa 15 vittime al mese, un segnale chiaro di un problema che ormai fa parte del nostro quotidiano. È quanto emerge dai dati diffusi nelle scorse ore dal Ministero dell’Interno, che mostrano come questo dramma non dia cenni di rallentamento. La pubblicazione ha subito riacceso il dibattito sulla violenza di genere e sulla capacità delle istituzioni di rispondere, soprattutto dopo una serie di fatti tragici che hanno riempito le cronache degli ultimi mesi.

Un fenomeno che non molla la presa

I numeri, raccolti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, parlano da soli: nel 2022 si sono contati 125 femminicidi in tutta Italia. In pratica, ogni due giorni una donna perde la vita per mano di qualcuno che spesso conosceva bene. Oltre l’80% delle vittime, infatti, è stata uccisa da mariti, ex partner o familiari. Una realtà su cui la viceministra dell’Interno Wanda Ferrara ha voluto porre l’accento definendola “la forma più estrema di violenza domestica”.

Rispetto agli anni precedenti, i dati restano sostanzialmente stabili: nel 2021 i femminicidi erano stati 119 e nel 2020 poco meno, 116. Nonostante campagne e nuove leggi messe in campo negli ultimi tempi, il fenomeno non sembra voler diminuire.

Dove si concentra il dramma: regioni e famiglie

Non tutte le zone d’Italia soffrono allo stesso modo questo problema. Secondo la Direzione Centrale Anticrimine, le regioni più colpite sono Lombardia, Sicilia e Campania. Le città con più casi negli ultimi dodici mesi sono Milano, Palermo e Napoli. Ma non è solo questione di grandi metropoli: anche nei centri più piccoli emergono situazioni simili, dove spesso le difficoltà familiari restano nascoste e difficili da intercettare.

La maggior parte degli omicidi avviene tra le mura domestiche: il 70% delle donne uccise aveva denunciato violenze o minacce in passato. La criminologa Lara Meneghetti sottolinea quanto sia grave il fatto che “solo alcune riescono a sporgere denuncia, e spesso lo fanno quando ormai è troppo tardi”. A peggiorare il quadro c’è la mancanza di sostegno e la sfiducia nelle istituzioni che alimentano un sommerso difficile da misurare.

Le risposte delle istituzioni e delle associazioni

La pubblicazione dei dati ha spinto le istituzioni a tornare sulla questione. Il ministro della Giustizia Paolo Mazzi ha promesso in Parlamento maggiori tutele per le donne che denunciano abusi, insistendo sulla necessità di agire rapidamente per allontanare i responsabili violenti. Le associazioni chiedono invece più risorse per i centri antiviolenza e una formazione mirata per le forze dell’ordine.

Negli ultimi giorni si è parlato anche di un nuovo progetto di legge volto a rafforzare le misure cautelari. Francesca Ferretti dell’associazione D.i.Re ha spiegato: “Serve un lavoro a tutto tondo – non solo interventi dopo l’emergenza ma anche prevenzione nelle scuole e nella società”.

Dietro i numeri, una sfida culturale ancora aperta

Il femminicidio porta con sé un peso culturale che fatica a essere superato. Istat segnala come quasi il 40% degli italiani creda che in certe situazioni la gelosia possa giustificare comportamenti aggressivi dentro la coppia. Nelle scuole ci sono programmi dedicati all’educazione all’affettività e al rispetto reciproco, ma finora l’impatto resta modesto.

A Roma, Maria Rita Piras, preside dell’Istituto Comprensivo “Elsa Morante”, racconta: “Questi progetti funzionano davvero solo se coinvolgono anche le famiglie”. Purtroppo spesso l’argomento viene trattato solo con qualche ora isolata nei programmi scolastici. I docenti sperano che la scuola diventi un punto fermo nella lotta contro la violenza sulle donne.

Un impegno che deve diventare collettivo

A quasi due anni dall’entrata in vigore della legge Codice Rosso e con una media costante di 15 femminicidi al mese, il bilancio resta pesante. Il problema resiste ai cambiamenti normativi e sociali messi in campo finora. Come ammette il sociologo Giovanni Trivelli: “I numeri mostrano che non basta punire chi sbaglia; bisogna andare alle radici del problema”.

Il nodo resta quindi la prevenzione: dietro ogni cifra c’è una storia spezzata troppo presto. Sullo sfondo resta una domanda difficile da risolvere: quanto ancora dovremo aspettare prima di vedere quei numeri davvero calare?

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