Roma, 31 dicembre 2025 – Cinque appuntamenti in altrettanti luoghi simbolo della capitale, una serie di testimonianze sulla pace e un collegamento in diretta da Gerusalemme: così Roma ha dato il suo saluto, questo pomeriggio, alla tradizionale Marcia per la Pace. L’evento ha coinvolto rappresentanti delle comunità religiose, associazioni laiche e cittadini comuni. Tutto si è svolto a poche ore dal nuovo anno, in un’atmosfera segnata dalle tensioni internazionali e da un forte bisogno di riflettere.
Cinque tappe tra memoria e impegno
La Marcia per la Pace ha toccato cinque punti chiave della città: Piazza San Pietro, la Sinagoga, la Moschea di via della Magliana, la Comunità di Sant’Egidio a Trastevere e infine il Campidoglio. In ogni luogo si sono alternate voci diverse che hanno raccontato il presente. Alla Moschea, poco dopo le 16, l’imam Mustapha Haidar ha sottolineato l’urgenza di un dialogo tra le religioni: “Abbiamo visto cosa significa vivere nell’odio, ora serve costruire insieme”, ha detto davanti a circa un centinaio di persone, tra tappeti arrotolati e luci soffuse.
Alla Sinagoga il rabbino Riccardo Di Segni ha richiamato le radici della convivenza romana: “Queste strade hanno visto conflitti ma anche abbracci. La pace si costruisce nei piccoli gesti di ogni giorno”, ha spiegato agli studenti e ai fedeli raccolti sotto i portici di via Catalana.
Videocollegamento da Gerusalemme: Pizzaballa richiama alla responsabilità
Uno dei momenti più attesi è arrivato alle 18 con l’intervento in videocollegamento dal Medio Oriente del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme. Lo schermo allestito sulla scalinata del Campidoglio ha mostrato il suo volto teso: “Vi porto il saluto di una città ferita ma viva. La pace non è uno slogan: serve coraggio e responsabilità”. Le sue parole sono state accolte da un lungo applauso interrotto solo dal suono delle campane vicine.
Il messaggio di Pizzaballa, poco più di cinque minuti, ha toccato i nodi più caldi del 2024: la guerra in Ucraina, il conflitto israelo-palestinese e l’emergenza migranti. “Le notizie che arrivano qui ci fanno sentire isolati. Eppure sappiamo che molti pregano e lavorano perché questa spirale finisca”, ha detto il Patriarca con una punta di amarezza.
Testimonianze laiche e religiose, clima raccolto
Tra una tappa e l’altra sono intervenuti vari rappresentanti di associazioni laiche – tra cui Comunità di Sant’Egidio e Amnesty International. A Piazza San Pietro sono state raccontate storie forti come quelle delle famiglie ucraine arrivate a Roma in cerca di rifugio. “Mia madre è rimasta a Mariupol”, ha detto Anna, 29 anni, trattenendo a stento le lacrime. Un volontario della Caritas le ha stretto la mano.
Molti hanno portato cartelli con scritte semplici ma potenti: “Pace adesso”, “Roma abbraccia chi fugge”. Alle 19, poco prima della conclusione al Campidoglio, suor Alessandra Bonetti ha ringraziato tutti per “la fatica della speranza”. In quel momento il freddo pungente sembrava alleggerirsi, come notato da più persone presenti.
Reazioni istituzionali e riflessioni sul futuro
Dal palco finale è salita anche la sindaca Roberta Gualtieri, che ha evidenziato quanto sia importante “far diventare reale ogni occasione di dialogo”. Ha poi assicurato che il Comune sosterrà iniziative simili nel 2026. In platea c’erano esponenti del Consiglio comunale, parlamentari romani e una delegazione dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia. Nessun discorso lungo o formale; solo brevi riflessioni su cosa resta dopo una marcia come questa.
La chiusura ufficiale è arrivata poco dopo le 20. Una folla ordinata si è dispersa nei vicoli ancora illuminati dalle luci natalizie. Qualcuno si è fermato in piazza a parlare sottovoce; altri hanno lasciato fiori davanti alla scalinata del Campidoglio. Sullo sfondo rimaneva forte – senza mai scadere nella retorica – la sensazione che il cammino verso la pace passi dai gesti quotidiani, dagli incontri reali. Anche qui a Roma, dove le differenze non spariscono mai ma possono convivere.





