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Addio a Lee Tamahori: il geniale regista neozelandese ci lascia a 75 anni

Auckland, 8 novembre 2025 – È scomparso ieri, nella sua città natale, Lee Tamahori, regista neozelandese celebre per aver portato sul grande schermo la realtà della comunità maori e per aver diretto uno degli episodi della saga di James Bond. Aveva 75 anni. La famiglia ha diffuso la notizia, parlando di una “perdita che colpisce non solo il cinema neozelandese, ma l’intera comunità internazionale”. Tamahori era una delle voci più importanti e riconosciute della cultura maori nel mondo dell’intrattenimento.

Once Were Warriors: il film che ha cambiato tutto

Il nome di Lee Tamahori resta legato a doppio filo a “Once Were Warriors – Una volta erano guerrieri”, il film del 1994 che ha rivoluzionato il modo di raccontare la Nuova Zelanda. Tratto dal romanzo di Alan Duff, il film mostrava senza filtri la vita di una famiglia maori ai margini della società urbana di Auckland. Un racconto duro, a tratti spietato, che ha scosso sia il pubblico che la critica. “Volevo mostrare la verità, anche quando fa male”, aveva detto Tamahori in un’intervista al New Zealand Herald nel 1995, poco dopo l’uscita del film.

Il successo arrivò subito: più di 2 milioni di spettatori in patria, premi internazionali e una nuova attenzione alle storie degli indigeni. “Ha dato voce a chi non ne aveva”, ha ricordato oggi Temuera Morrison, protagonista del film, contattato dalla nostra redazione. “Senza Lee, molti di noi sarebbero rimasti invisibili”.

Da Auckland a Hollywood: il salto di Tamahori

Dopo l’esordio che fece parlare di sé, Tamahori si trasferì a Hollywood, dove diresse diversi film d’azione. Nel 2002 arrivò la chiamata più importante: la regia di “La morte può attendere” (“Die Another Day”), il ventesimo capitolo della saga di James Bond, con Pierce Brosnan nel ruolo dell’agente segreto britannico. Una produzione da oltre 140 milioni di dollari, girata tra Islanda e Corea del Sud.

“Era un perfezionista, ma sapeva ascoltare”, ha raccontato Rosamund Pike, che nel film interpretava Miranda Frost. “Sul set c’era rispetto per ogni dettaglio”. Il film incassò oltre 430 milioni di dollari nel mondo, confermando Tamahori come uno dei pochi registi neozelandesi a imporsi anche nell’industria americana.

Un ponte tra due mondi

Nato ad Auckland nel 1950, da padre maori e madre europea, Tamahori aveva spesso parlato del senso di doppia appartenenza che lo aveva accompagnato fin da bambino. “Non sono mai stato solo una cosa”, disse presentando il suo ultimo film al festival di Wellington nel 2022. La sua carriera è stata guidata dal desiderio di raccontare storie universali, partendo da radici profonde. Nonostante il successo internazionale, tornava spesso in Nuova Zelanda per lavorare con giovani registi e attori locali.

La New Zealand Film Commission ha sottolineato che “ha cambiato in modo decisivo la percezione globale della cultura maori”. Il governo gli riconobbe il valore nel 2018, quando gli conferì l’Ordine al Merito della Nuova Zelanda per i servizi resi al cinema.

L’ultimo saluto

La famiglia ha annunciato che i funerali si terranno in forma privata ad Auckland nei prossimi giorni. “Papà era orgoglioso delle sue origini e del suo lavoro”, ha detto il figlio Tama in una breve nota ai media locali. “Sperava che le sue storie aiutassero altri a trovare la loro voce”.

In Nuova Zelanda sono già arrivati tanti messaggi di cordoglio da colleghi e istituzioni. Il premier Christopher Luxon ha definito Tamahori “un artista che ha saputo raccontare il Paese come pochi altri”. Ma nelle strade di Auckland, oggi, si respira soprattutto gratitudine: per un uomo che ha trasformato il cinema in uno specchio fedele delle sue radici.

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